sabato 4 marzo 2017

Strategie per valorizzare e interpretare la città

Questo saggio critico si propone di porre l’attenzione, a partire dall’analisi di due tesi di dottorato conseguite presso il dipartimento di Architettura, teorie e progetto dell’Università degli studi di Roma “Sapienza”, sull’interpretazione delle buone pratiche per affrontare il problema dello sviluppo della città e la sua progettazione nel complesso.
Per quanto riguarda la prima tesi presa in esame, si tratta del: “Progetto del suolo. La trasparenza delle linee di terra nella città contemporanea.”, di Federica Tegolini, dottoranda dell’XI ciclo. Obiettivo della sua ricerca è stato quello di spostare l’attenzione dal suolo naturale, considerato come il punto d’incontro tra artificio e natura, e il suolo rappresentato dalla “strada”: luogo del vivere della comunità.
La strada rappresenta la moltitudine di suoli e genera sia addizione che sottrazione di essi. La sua presenza come demarcatore dello spazio determina l’identità del soprasuolo quando occupa il ruolo di “addizione”; nel momento in cui si immerge nel sottosuolo, entra in relazione con il terreno compatto e sarà un “sottrattore” di suoli.
Nella città moderna e contemporanea il suolo determina due strategie per la progettazione; la prima, per la realtà della città moderna, è quella di costruire suoli sovrapposti. La visuale dello spettatore è in pianta ed è questa che ne definisce la sovrapposizione. La strada si annulla nella città su pilotis di Le Corbusier, al contempo genera un’addizione di spazio quando si innalza nel definire il piano di Algeri ed entra nelle case e negli isolati nella Città Nuova di Sant’Elia. 
La seconda, per la città contemporanea, si realizza nella sezione e quindi nella definizione di suoli trasparenti, mettendo tutto in comunicazione.
Le parole chiave sono: trasparenza e dinamicità. Lo sguardo e non più il corpo è l’elemento che interpreta lo spazio, spostandosi dalla superficie al volume.
Un altro elemento nella progettazione che viene messo in luce è la distanza critica; il vuoto genera un’attrazione magnetica tra due elementi: A e B. Essi si richiamano e, ravvicinati, generano C il quale ne specifica la relazione. In ciò avviene l’addizione di spazio.
La strada genera proprio quello spazio, quell’elemento C, che permette di interpretare A e B sia come elementi a se stanti che come un’unità. Progettare all’interno di un nodo, come i Transferia di Koolhaas o nello spessore di un viadotto come il Bridge of House di Steven Holl, trasformano l’infrastruttura in suolo.
L’infrastruttura non rappresenta più un mero segno sul terreno naturale che facilita il raggiungimento da un punto ad un altro, ma è soprattutto un luogo del vivere e dell’abitare e l’attenzione potrebbe spostarsi al problema delle strade periferiche, vero e proprio muro che spesso dividono i luoghi e, ancora più frequentemente, si trasformano in un limite fisico agli usi possibili della città nei confronti degli individui più deboli (bambini e anziani).
Dunque, non si potrebbe focalizzare l’attenzione alla dimensione del quartiere, piuttosto che alla grande arteria? La strada, a livello del quartiere, potrebbe trasformarsi in un luogo pubblico che soddisfi l’esigenza del cittadino che lo vive?
È ciò che viene parzialmente affrontato dalla seconda tesi presa in causa e sulla quale verrà posta maggiormente attenzione per la delicatezza del tema affrontato: “Il progetto del margine della città contemporanea – figure, declinazioni, scenari”, di Marina Macera, dottoranda del XXV ciclo.
Nella dissertazione viene ricercato il significato del termine margine come luogo per sperimentare nuove spazialità urbane, perché rappresenta un ottimo potenziale per ridisegnare moderne relazioni per ricomporre l’organismo urbano.
Il margine viene spesso inteso come confine, quindi come qualcosa che determina una fine di una realtà per dare spazio all’inizio di un’altra. Così si sposta l’attenzione al modo in cui l’uomo abbia delimitato il territorio nella sua evoluzione: dalla preistoria all’era moderna; se i primi confini erano per lo più labili, con la formazione della città questi si concretizzano trasformandosi in veri e propri elementi quasi invalicabili come le mura, che al contempo saranno proprio le protagoniste della vita cittadina.
Traslando questo concetto al giorno d’oggi e quindi alla città contemporanea, il margine è ben visibile quando si passa dalla città storica alla città in trasformazione, quella periferica che manca di identità e di un polo dove si concretizzano gli “affari” della vita cittadina.
Ma è proprio la realtà della città periferica che permette di far sbocciare il suo carattere e il suo potenziale. Nella città in generale è presente un confine invisibile, ossia il confine sociale che può determinare il simbolo di inclusione o esclusione collettivo. Da ciò nasce la frontiera che, come viene spiegato ampiamente nella tesi, determina al contempo sia lo spazio di relazione che d’incontro, ma può anche interpretare uno spazio di esclusione quando questa si concretizza divenendo un vero e proprio muro.
Le nuove mura urbane sono certamente le infrastrutture che marcano il terreno con la loro presenza decisa e divengono difficili da valicare soprattutto quando queste sono abbandonate trasformandosi in luoghi decisamente degradati e inaccessibili.
La città contemporanea non è solo luogo delle infrastrutture che ne limitano i rapporti tra le parti, ma anche il luogo in cui si identifica la presenza delle isole. Non esiste quindi una stratificazione orizzontale come nella città storica, ma è presente un vero e proprio arcipelago metropolitano tra i quali componenti, troppo frequentemente, non intercorre alcuna relazione.
Così il margine può essere assimilato negli interstizi di queste isole ed è identificato proprio nel vuoto urbano il quale può essere trasformato per generare nuove connessioni.
Connessioni che non si realizzano solo nella trasformazione dello spazio, ma anche nella vita quotidiana della società che va potenziata.
Non è da sottovalutare il rapporto con il paesaggio del quale la città diffusa ne ha decisamente influenzato la conformazione, protendendosi verso la campagna mescolandosi ad essa. Quindi un potenziale intervento sulla città diffusa deve valorizzare la sinergia con il paesaggio e salvaguardarlo.
Alla luce delle valutazioni prodotte nella tesi in questione, si può pensare che sia utile, per un buona riuscita della pianificazione del territorio, mettere in campo delle strategie che accompagnino l’iter fino alla progettazione del singolo edificio, passando da una scala urbana ad una architettonica.
Il primo passo da compiere è verso l’individuazione di “contesti” e di “figure territoriali”. I primi sono riconosciuti nelle parti del territorio contraddistinte da medesimi caratteri di struttura, individuabili attraverso una lettura selettiva dei rapporti tra: forma del suolo (struttura geomorfologica), trame e permanenze (struttura degli elementi architettonici e dei beni), edificato ed uso del suolo (struttura insediativa), collegamenti (struttura della mobilità), risorse naturalistiche (strutture ecologiche). Le seconde, d’altra parte, rappresentano degli strumenti di sintesi di una realtà più complessa e devono rappresentare gli elementi cardine di un’operazione di trasformazione attraverso cui prendono corpo le azioni di progetto.
Dopo questa attenta analisi si mettono in campo le idee per definire una serie di strategie che, in una sintesi, attuano la ricucitura del territorio. Questa può avvenire attraverso l’individuazione di quei cosiddetti “vuoti urbani”, ossia spazi interstiziali nel costruito poroso della periferia in cui sviluppare servizi per la comunità in un’azione congiunta tra tessuto edilizio e spazi agricoli, come viene puntualizzato anche dalla tesi in esame come modo per contenere l’espansione della città.
Un altro metodo per frenare tale espansione è quello della progettazione del margine attraverso la sua rinaturalizzazione (greening, serre e orti comuni). Per quanto riguarda quelle infrastrutture degradate e in disuso queste si trasformano in grandi aree verdi, spazi pubblici che vengono ricollegati alla città attraverso una nuova tipologia di mobilità sostenibile che si avvale del sistema delle infrastrutture verdi.
Guardando la realtà del margine della città e quindi della periferia, sorge spontanea una domanda. Oggi abbiamo bisogno di un tipo di pianificazione e, quindi, di progettazione ibrido in cui è necessaria una trasversalità delle competenze che coinvolgano più realtà contemporaneamente; occorre porre attenzione alle diverse domande degli attori coinvolti (aziende, cittadini, associazioni, realtà multietniche ecc.) e alla politica di azione locale che trovi risposte differenziate in relazione ai contesti analizzati; quanto questo cambio di prospettiva è necessario per rinnovare la visione dell’assetto di un territorio già fortemente abitato, come quello periferico, che presenta però disagi sia in termini di servizi che di mobilità?

Questa è la domanda che è stata posta a Marina Macera, autrice dell’ultima tesi che ho analizzato e che, a mio avviso, tenta di dare delle risposte a tale quesito.

lunedì 16 gennaio 2017

"L'archtettura è come un dirigibile che ha sorvolato e sorvola tutt'ora il territorio,  calandosi su di esso, servendosene e lasciando il segno dell'uomo suo fautore. Ma essendo proprio come un dirigibile essa è fragile, facilmente corruttibile e se non insegue il cambiamento perde il suo equilibrio e crolla."

Infografica ispirata a: "Architettura e modernità" (2010) Antonino Saggio - Carocci editore.